Grandi marchi come Barilla, Perugina e Gruppo Italiano Vini, accanto a colossi della distribuzione come Carrefour e Coop, hanno già avviato importanti sperimentazioni nel campo, ma anche le piccole realtà dell’agroalimentare italiano di qualità non stanno a guardare. Stiamo parlando della Blockchain, che si candida ogni giorno di più ad essere il futuro prossimo della tracciabilità e della tutela del Made in Italy. Ciò in virtù dell’inattaccabile garanzia rappresentata dai sistemi digitali che ne sottendono il funzionamento e grazie alla facilità di accesso e consultazione (smartness) dei dati in essa raccolti.
Come funziona la Blockchain
In sostanza, la tecnologia in questione produce un database distribuito, collettivo e in comune, protetto da crittografia, che raccoglie informazioni permanentemente disponibili e non cancellabili, attraverso le quali è sempre possibile ricostruire e tracciare le transazioni. Una vera e propria rivoluzione per la tracciabilità in etichetta, che può dare conto della storia di un prodotto, delle materie che lo compongono e delle lavorazioni che lo hanno generato, affidandosi a un protocollo informatico bloccato, che impedisce la cancellazione o la manomissione dei dati e favorisce la loro verificabilità, facendo a meno di un’autorità centralizzata gerente.
La via italiana alla Blockchain
Il meccanismo garantisce così assoluta trasparenza, rivelandosi la migliore soluzione contro ogni contraffazione, prima fra tutte, in ambito agroalimentare, quella conosciuta come fenomeno dell’italian sounding. Con questo intento, alla fine del 2019 il Ministero dello Sviluppo Economico ha avviato un progetto pilota in partnership con IBM, denominato “La Blockchain per la tracciabilità del Made in Italy”. La sperimentazione riguarda la filiera tessile, ma presto sarà estesa ad altri settori (tra cui l’agroalimentare), ambendo a diventare paradigma per gli altri Paesi UE.
Il ministro Roberto Patuanelli, infatti, ha assicurato che l’Italia sta lavorando «a livello europeo nell’ambito della European Blockchain Partnership al fine di esportare il modello italiano di protezione delle filiere produttive attraverso le tecnologie emergenti», coltivando la ragionevole aspirazione «che in questo ambito il nostro Paese possa giocare un ruolo di leader a livello comunitario».
La necessità di una via tutta italiana alla Blockchain è auspicata anche da Enrico Cereda, presidente e amministratore delegato di IBM Italia. «L’apertura alla competizione dei mercati globali – sottolinea il manager – pone il brand Made in Italy nella condizione di dover assicurare la massima trasparenza e tracciabilità. L’uso della Blockchain è l’innovazione che può consentire alle nostre imprese di garantire i propri prodotti, differenziandoli in termini di qualità e sostenibilità. Questo permetterà ai consumatori di scegliere con la massima consapevolezza, garantendo alle aziende un ritorno importante in termini di fiducia».
Il caso Caffè San Domenico
Ma oltre ai big player e al governo, anche piccole realtà private guardano avanti, dandosi da fare già oggi. Come la piemontese Caffè San Domenico, una tra le 25 più rinomate torrefazioni in Italia e presidio Slow Food, anche in virtù dell’uso della tecnologia Blockchain, che ne ha fatto la prima filiera del caffè completamente trasparente e tracciabile. Un traguardo difficilmente raggiungibile con metodi tradizionali.
Grazie alla Bockchain viene garantita la provenienza e l’autenticità dei 12 produttori del presidio Slow Food (a ogni sacco di prodotto grezzo viene assegnato un codice internazionale), mediante l’uso di un identificativo univoco sulla confezione, che permette al consumatore di scoprire la storia e il lungo viaggio del caffè, dalle piantagioni alla tazzina, passando per la torrefazione San Domenico.